CARMEN CHE NON VEDE L’ORA
16 GENNAIO – ORE 21:00
TEATRO LA FENICE / ARSOLI
con Tamara Bartolini / Michele Baronio
drammaturgia Tamara Bartolini
musiche, canzoni, sonorizzazioni Michele Baronio
canzoni originali Lucilla Galeazzi
disegno luci Davood Kheradmand / Diego Pirillo
suono Michele Boreggi
regia Tamara Bartolini / Michele Baronio
produzione Bartolini/Baronio | 369gradi | Sycamore T Company
co-produzione | residenza Carrozzerie_n.o.t
produzione prima fase del progetto Ass.Cantalavita/Lucilla Galeazzi
Grazie a Carmen M. per la sua storia
Facciamo che…c’è un piccolo villaggio dell’ex Jugoslavia e che da lì inizia il nostro viaggio. Si passa per l’Africa, si sbarca in Italia con le navi della croce rossa durante la fine della seconda guerra mondiale, si procede verso Napoli e i suoi favolosi anni ’60, si prosegue nel profondo sud, dentro antiche leggi e tabù di un piccolo paesino sperduto della Basilicata, per partire di nuovo e raggiungere la Roma degli anni ’70 infuocata dalle contestazioni, tra nonni slavi e ladri, mariti violenti, amanti, riunioni politiche, rivolte, la nascita inattesa di un figlio, e il sogno di una stanza tutta per sé, di un lavoro da maestra dentro una scuola pubblica pensata e sognata come luogo deputato alla crescita e alla trasformazione della società. E Infine, arrivati ai nostri giorni, ci si trasferisce in un piccolo paesino della provincia di Roma, davanti al mare.
Carmen che non vede l’ora, prima ancora di tradursi sulla scena, è stato l’incontro con una biografia, con la storia di una donna incontrata durante uno dei nostri laboratori teatrali. Quella biografia è andata trasformandosi durante il lavoro. Parlava di noi, del nostro paese, ci poneva domande sul senso del raccontare ancora storie che ci riguardano.
Carmen è il viaggio di un corpo che cerca il suo posto nel mondo, che si scontra e lotta con altri corpi, in una profonda e vertiginosa immersione dentro la storia del nostro paese. E’ il viaggio di una donna qualunque alla ricerca della sua libertà, ma è anche il viaggio di un uomo alla ricerca della sua coscienza; un uomo che risponde parlando, cantando e suonando, a quel gioco del teatro che il femminile mette in moto, per ricucire entrambi, insieme al pubblico, ciò che la violenza ha fatto a pezzi.
L’urgenza di questa narrazione è diventata il nostro viaggio, umano e artistico, che va avanti e indietro nel tempo, nel tentativo di ricostruire una vita, che non vuole essere favola e forse non sa essere neanche racconto. E’ solo una corrente che ci passa attraverso ed è ancora altrove.
Noi possiamo solo balbettarla, o “fare finta che”, prestando i nostri corpi ai “formati” con cui cerchiamo di incorniciarla.
Le donne lo sanno bene, perché avviene misteriosamente nelle loro pance in forma di promessa, e raccontare una storia è proprio questo, un atto di fede nel futuro, potente e provvisorio, come ogni promessa.
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